Lettori fissi

venerdì 22 agosto 2008

L'autunno del patriarca

Un magico caleidoscopio di parole, fantasie, enumerazioni caotiche, idee, immaginazioni, avvenimenti, realtà ...
Uno tra i libri che più mi hanno affascinato. Tanti romanzi in uno.
Di quelli che non si finisce mai di leggere. Non si potrà mai arrivare a dire: ho finito di leggere “L’autunno del patriarca” perché quando si arriva all’ultima pagina bisogna ritornare all’inizio per cercare di capire come Marques ci abbia rapiti e costretti, sì costretti, a leggere tutto d’un fiato, perché così è successo a me.
Non esiste una trama che possa sintetizzare il contenuto del libro. Non c’è nemmeno uno schema cronologico. C’è un dittatore, presumibilmente quello del titolo, con le sue manie di grandezza, tipiche di tutti i dittatori, ma anche le sue debolezze e le sue solitudini, ed il mondo che gli gira attorno, il mondo che vuole vedere o che i suoi servitori gli fanno vedere.
Scritto in uno stile fluviale, ma di fiume in costante piena, contemporaneamente in prima persona, singolare e plurale, ed in terza persona, con discorsi diretti, indiretti, sotto forma di memorie o ricordi, con punti di vista che saltano di continuo, senza altri “a capo” che non quelli che alla fine determinano la divisione del testo in sei capitoli
o meglio in sei lunghi blocchi narrativi.
Un romanzo in cui le prospettive narrative e linguistiche danno vita ad un reticolo di meridiani e paralleli che si incrociano, inestricabilmente ed armoniosamente al contempo, nella mente del lettore che dalla lettura esce forse esausto ma quanto arricchito! Uno sforzo che vale la pena fare.
Un libro, sono certo, la cui lettura Marques, se fosse un patriarca, imporrebbe a tutti per decreto.

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