Lettori fissi

martedì 29 dicembre 2015

Di-scorrere

Il suono della sveglia a stroncare vite umane, realtà che faccio fatica a recuperare, vite spezzate, falciate, improvvisamente, in un istante, nel pieno della loro giovinezza, e c’ero anch’io, sempre anch’io, a guardare le foto insieme a lei, questo è mio padre, mi sorprese l’altezza, la foto non era chiara, era colto nel momento in cui scendeva le scale di un edificio non ben definito, accanto a lui, che indossava un vestito in bianco e nero, un altro, e questo è tuo fratello, azzardai, ma no, questo è mio figlio, allora, nascondendo la sorpresa che la notizia di un suo figlio mi suscitò, mi giustificai ripetendo che, la foto non è chiara, anche lui stava scendendo le scale, o forse no, ora ricordo, era come appollaiato sul bordo di un gradino, nell’atto di spiccare il volo, mi piaceva stare con lei, sfiorare con il viso i suoi capelli, lunghi e arrotolati, che scendevano ordinati sulle spalle, profumavano, di niente, mi piaceva stare ad ascoltare i suoi racconti, di quello che c’era attorno non mi interessava nient’altro, gente intenta a pregare, a seguire rituali, una vecchia chiesa di campagna, dove non sarei mai arrivato se non mi fossi inoltrato su per sentieri verdi e pieni d’acqua, seguendo un amico di vecchia data che voleva farmi vedere la sua nuova casa, appena costruita, un terreno dove coltivava anche, avevo ritrovato interesse per le cose e salimmo lentamente per quei declivi, facendo attenzione alle pozzanghere, ai solchi, dove stavano per nascere nuove piantine, avevo cambiato vita, e là, quasi in cima, una cappella, da poco restaurata, dopo essere rimasta sconsacrata, dimenticata dagli uomini, per secoli forse, ma non da Dio, perché lo spirito era sempre presente, non ci voleva molto a capirlo, lo spirito divino mi ha aiutato a trovare la strada, quanto tempo siamo rimasti a parlare, ci piaceva discorrere delle nostre cose, scoprire, per mezzo delle sole parole, le nostre vite, quanto tempo solo a guardarci, senza bisogno d’altro.

domenica 27 dicembre 2015

De miraculo

Pensavo che se le preghiere, sia pure personalizzate, avessero avuto un qualche effetto, non sarei rimasto a raccontare come andarono le cose, o meglio come non andarono, visto che quella ragazza è rimasta dove non sono mai arrivato e dove difficilmente potrò arrivare.
Pensavo che se quella madonna mi avesse accontentato nei miei desideri perversi, anche solo una volta, che poi voleva dire trascorrere anche solo una notte con quella ragazza, o anche un giorno, ecco, potrei ritenermi almeno un po’ fortunato.
Perché se tutte quelle preghiere che avevo immaginato, anche senza essermi mai preso la briga di recitare, fossero state minimamente esaudite adesso starei abbracciato a lei, e non solo abbracciato, ci avrebbero visti andare in giro per l’isola, o rifugiati dentro una qualche grotta, persi in una delle tante insenature selvagge, come segno dell’esistenza di un qualche dio che si prendeva cura di noi poveri mortali, uno che qualche volta si degna di accontentare le preghiere di un disgraziato, che ha un po’ di attenzione anche per chi come me non sfiora una donna da chissà quanto tempo, ho perso il conto dei giorni che, tutti insieme, messi uno dietro l’altro, fanno mesi, anni, che penitenza, forse sarà abbastanza, è arrivata finalmente l’ora, ho espiato a dovere chissà quale colpa, se almeno lo sapessi, forse potrei stare meglio, ma che importa, se adesso sto con lei, anche solo per poche ore posso ritenermi soddisfatto, se quella madonna ha fatto finalmente il suo dovere di madonna posso accontentarmi, almeno per adesso, almeno fino al prossimo bisogno, poi, semmai, cercherò qualche altro santo, ma per adesso, mi va bene anche un momento di tenerezza, persino un semplice bacio, solo che quando i sogni si fanno ardui, non c’è dio che tenga, nessuno ti ascolta, e finisce che mi sveglio definitivamente alla realtà e mi prendo a pugni la faccia, e poi comincio a strappare le pagine del quaderno, fino a rendere illeggibile ogni frase, al punto che non dovrà rimanere più nessuna traccia di questo delirio, non voglio saperne più niente, non so se è una soluzione, ma almeno così una fine ci sarà, altrimenti, con la speranza, rimango a tediarmi per una vita col risultato che non riuscirò ad ottenere mai nulla.

mercoledì 4 novembre 2015

Una pagina al giorno


Una pagina al giorno leva il medico di torno, gli piaceva reinventarlo così il proverbio.
Solo se scrivo almeno una pagina al giorno potrò sentirmi bene, non dico realizzato, ma comunque, una certa soddisfazione penso di poterla ottenere. Una personale filosofia. Darsi delle regole lo faceva sentire bene, il problema era che spesso non riusciva a  mantenere le promesse.
Si era messo in testa questa idea e non riusciva a farsela passare. Così, una volta ottemperato al suo personale imperativo, poteva rivolgersi ad altro. Il suo dovere l’aveva fatto e poteva finalmente dedicarsi al suo passatempo preferito: ascoltare fado. Senza quella musica non riusciva a vivere, non ce la faceva proprio. Ma non era solo musica, evidentemente, era molto di più, qualcosa di necessario, indispensabile, vitale.
Scrivere ed ascoltare buona musica. Due cose a cui non sapeva e nemmeno voleva rinunciare.
Scrivere in certi momenti diventava più un impegno che un piacere. Anche faticoso. Anche insopportabile. Ma si era dato una regola e sentiva che doveva rispettarla.
Ne va del mio equilibrio mentale. Non so esattamente cosa potrebbe succedere se sgarro per un giorno, però, si dava delle possibilità, non è che deve essere proprio così rigida questa regola, importante è stare nella media di una pagina al giorno. Se oggi non ho voglio di scrivere niente, o non ho la possibilità pratica, oppure non ne ho il tempo, vorrà dire che domani ne scriverò due, così i conti tornano, ciò che importa è osservare i propositi iniziali e non perdere l’allenamento. Il cervello si deve tenere in costante attività, e cosa c’è di meglio del mantenere in esercizio la facoltà dell’immaginazione?
La devo organizzare bene fin dall’inizio questa attività, altrimenti ne va di mezzo la mia sanità mentale. Me lo devo scegliere con oculatezza l’interlocutore con cui dialogare nei momenti difficili, uno a cui chiedere consigli e affidare le mie confidenze, soprattutto quando non riesco a proseguire, quando il blocco dello scrittore mi stringe la gola e mi impedisce di respirare con regolarità.
Quando ancora non aveva fatto quel patto con se stesso non immaginava nemmeno lontanamente che avrebbe potuto soffrire se un giorno non riusciva a scrivere, o anche a non completare almeno una pagina. E a quei tempi non pensava neppure quale doveva essere l’argomento delle sue scritture. Poteva andar bene qualunque cosa, un discorso sui massimi sistemi, ma anche sulle formiche che attraversavano il lavandino,  senza che riuscisse a capire da dove venivano, cosicché non poteva sbarrare la porta di accesso a quei fastidiosissimi punti neri, poteva solo sterminarne un centinaio, o forse più, con un potente insetticida, o al massimo liberarsene per un giorno, perché ben presto tornavano all’attacco, si facevano vivi in qualche altro punto della cucina, o anche in corridoio o in bagno. Le formiche non hanno particolari preferenze, la polvere e lo sporco è sempre ricettacolo di qualcosa di interessante e di utile.
D’altra parte, fare pulizia in casa non se lo sognava nemmeno, almeno fin quando riusciva a sopravvivere, perché quando proprio non ce la faceva più, allora una spolverata provava a darla, almeno per togliere lo sporco più grosso, quello più visibile, e questo succedeva non più di una volta al mese.
Non scocciatemi con queste stupidaggini, uno scrittore non può mica perdere tempo in faccende pressoché inutili, lasciatemi in pace!
Però, le formiche! Non sarebbe male scrivere un racconto su quegli stupidi insetti. Già, ma con quale scopo? Per far sapere al mondo quanto mi stanno sulle scatole? O per fare pubblicità ad un qualche prodotto disinfestante? E poi, è proprio necessario conoscere fin dall’inizio il motivo per cui devo scrivere? Quella maledetta paginetta quotidiana non deve diventare un assillo, altrimenti dove sta il piacere della scrittura?
Quelle formiche! Insistette, a pensare ancora a quelle formiche, un pensiero assillante cominciava ad infastidirlo, che non sarebbe riuscito più a disfarsene, le formiche gli entravano in testa, occupavano gli spazi liberi dei suoi pensieri e non lo facevano dormire, né di giorno né di notte, non riusciva a darsi pace.
Vabbè, basta, mi sono già stufato, non voglio perdermi in domande futili, ne parliamo dopo. Meglio mettere da parte penna e taccuino ed ascoltare un po’ di musica.
 L’indifferenza a tutto era il male peggiore. Senza l’interesse per qualcosa, non poteva nascere nulla di buono. Un uomo solitario, quale lui era ormai da tanti anni, non ricordava nemmeno quanto, non poteva pretendere di sviluppare la fantasia, o far correre l’immaginazione. Nel vuoto assoluto non ci sono riferimenti a cui appigliarsi, soprattutto quando di quel vuoto non si ha contezza. Così era lui. Cercava di nascondere anche a se stesso i rumorosi sbadigli ma falliva miseramente, soprattutto in quelle occasioni in cui le righe non crescevano e le pagine restavano rigidamente bloccate come davanti ad una barriera invalicabile.
È lo sguardo d’insieme che mi fa difetto, se solo riuscissi a vedere tutto più chiaro, avrei risolto la metà dei miei problemi. Ogni tanto se ne usciva con queste sparate. Filosofia da autodidatta, appresa e concepita sulla strada della vita. Era convinto ormai di aver sviluppato una sua filosofia, che poteva cambiare spesso, a seconda delle circostanze, ma questi mutamenti di idee erano parte integrante delle sue speculazioni. Appartenevano a pieno titolo alle teorie che aveva elaborato nel corso degli anni.  
Uno di quei giorni in cui vedeva formiche arrampicarsi dappertutto, per le pareti della camera da letto, ma anche in corridoio e sul balcone della sala, ebbe come la sensazione di sentire qualcuno parlare ad alta voce, un coro dalle tonalità acute, come solo le formiche riescono ad esprimere, e tese l’orecchio come per capire meglio quello che secondo la sua interpretazione dovevano essere dei consigli.
In fondo, ormai conviviamo sotto lo stesso tetto, ci conosciamo da un po’, potrei anche fidarmi. Già, perché no? Per di più questa condizione gli permetteva di alimentare fantasie sulle formiche, ma non solo, che non capiva se potessero essere credibili, oppure doveva scartarle come assurdità, cose del tutto inventate, irreali. Perché qualche dubbio se lo faceva venire, così, senza una determinata ragione, senza un preciso motivo, era che la condizione in cui viveva da anni, in quella situazione, a volte sentiva il bisogno di lasciarsi andare, ed allora partiva con le fantasie più impensabili, con le cose più incredibili o assurde. E quando stava lucido, nel senso che non era sotto l’effetto di un bel po’ di bicchieri di rum o di qualsiasi altro liquore, si chiedeva dove era stato il giorno prima, o chissà quando, perché che aveva esagerato col bere, di questo se ne rendeva conto, ma di questi momenti di stacco, di vuoto, di quello che aveva fatto, con chi li aveva trascorsi, non ricordava molto, e quelle erano le occasioni in cui, nella rievocazione, poteva pensare di tutto, è questa la mia vita, adesso sì che posso continuare la storia che avevo cominciato a scrivere, ed ogni volta era un nuovo inizio. Una storia cominciata mille volte, e nel rileggerla, aveva senz’altro una coerenza interna del tutto inspiegabile, non si notavano cesure degne di nota, ogni volta che riprendeva la lettura il filo del discorso scorreva alla perfezione.
Un uomo solitario non ha nessuno con cui intrattenere una relazione, se si eccettuano i fantasmi che sente e vede passargli davanti, ad ogni momento, e lui li vedeva, li toccava, ci parlava persino, sviluppava discorsi, litigava anche e quando voleva restare davvero da solo li salutava, li mandava a quel paese, ogni volta uno diverso, e ritornava in sé. Ah, quanto desiderava restare da solo in quei momenti, quanto era contento di non vivere con nessuno. La libertà non la darei in cambio di nient’altro. Ma era vera libertà? Suvvia, non voglio pensarci, dov’è il mio disco preferito?

venerdì 21 agosto 2015

La cameriera

Chiarisco subito, uso la prima persona perché mi basto, non ho bisogno di nessuno, non mi servono dialoghi per illustrare particolari, posso fare tutto da solo, senza distrazioni, risparmiando energie, per me è una questione vitale, una questione di economia, introdurre altri personaggi per chiarire situazioni, o solo per puro piacere, estetico, mi fa consumare la riserva di parole che ancora mi rimane, e non sono così sicuro che siano rinnovabili, le parole, intendo, ho cominciato a scrivere tanti anni fa, non ricordo più quando, e devo fare attenzione a non finirle, dovrò lasciarmene un po’ per altri momenti, ed allora, è inutile che le sprechi per introdurre una cuoca, oppure una cameriera, che fanno l’elenco degli ingredienti di un piatto, posso farlo io, è sufficiente che approfondisca l’argomento, magari chiedendolo anche alla stessa cuoca, o alla cameriera, ed ecco che ho risparmiato un passaggio, che potrò utilizzare in altre occasioni, ad esempio per una scopata veloce, quando ne ho voglia o persino necessità, che non sono poi messe tanto male, né l’una né l’altra, e comunque quando vengono certe voglie non sempre si può scegliere, non si può mica andare per il sottile, bisogna accontentarsi, prendere quello che viene, e quella volta era stata la cameriera, che aveva un corpo che portava di qua e di là facendomi girare la testa a forza di seguirla quando si allontanava dal tavolo, dopo aver servito una squisita orata, almeno dall'aspetto, e l’occhio, si sa, vuole la sua parte, ed i miei già cominciavano a far decollare tutto il sistema della digestione, tutto comincia da lì, e anche a giudicare dal profumo, e chi può dire che il profumo non faccia parte della prelibatezza di un piatto, il piacere comincia ad avvertirsi più in profondità, più intenso, quando il rosmarino ed il peperoncino, o una sua variante, cominciano a stuzzicare le narici, le mucose del naso, e da lì a mandare messaggi al cervello che, senza por tempo in mezzo, ha già elaborato un giudizio inequivoco, che da lì a poco sarà confermato anche dagli altri organi di senso, quell'orata al forno è, non ci possono essere dubbi, assolutamente squisita, appetitosa, e la cameriera che me l’aveva appena servita, non poteva non sottostare alla proprietà transitiva che nella mia mente applicavo anche in ambiti non strettamente matematici, queste proprietà dovranno pur servire ad altro che non solo a soddisfare le menti perverse dei matematici, ed io avevo trovato una pratica applicazione che si confaceva alla situazione che avevo davanti, quel culo che si allontanava dal tavolo al quale ero seduto, mi stava facendo venire una voglia irresistibile, lussuriosa, di lei, e non avrei perso tempo, giusto il necessario, per completare il piatto che aveva preparato con le sue preziose, l’avrei scoperto più tardi, con le sue preziosissime mani e avrei varcato la soglia del magazzino, nascosto agli occhi dei clienti da una tenda verde che scendeva morbida fino al pavimento, una sorta di dispensa improvvisata, piena di scatoloni di passata di pomodoro, di bottiglie e di mille altri ingredienti, in confezioni dalle più svariate dimensioni e forme, per saltarle addosso senza esitazione, chissà cosa aveva messo nell'orata, qualcosa che mi aveva procurato un’eccitazione che, unita al ballare scomposto di quelle chiappe ben sode, aveva fatto il resto, ed il resto può, sì, essere tante cose, ma per me, in quel momento, quello che più mi interessava era lei, il resto era suo culo, le sue tette, la sua farfalla, era lei, che mi aspettava chissà da quando, altrimenti, perché mai avrebbe infarcito il pesce con quella droga, ne ero certo e con questa sicurezza, mi ero avviato e niente e nessuno avrebbe potuto fermarmi, altro che tempi, altro che persone e punti di vista, e non mi sono fermato nemmeno quando, dopo aver fatto l’abitudine alla penombra della dispensa, ho prestato maggiore attenzione al suo viso, alla peluria che sembrava circondarlo e che, in qualche modo poco felice e con scarsi risultati, cercava di simulare, ma quando finalmente arrivai a toccarla, non c’era più nulla che poteva nascondere ai miei occhi nemmeno i baffi mal curati, e comunque ormai ero arrivato ad un punto che non potevo tirarmi indietro, non potevo trattenermi, ed anche lei, era evidente che si trovava al limite, il giorno dopo, o la sera stessa, se il lavoro le avesse fatto conservare un briciolo di tempo, di forza e di concentrazione, avrebbe applicato una buona ceretta e per altre due o tre settimane era a posto, poteva presentarsi con un’altra immagine, ma in quella situazione, io non badavo certo a particolari di così poca importanza, certe voglie, se possibile, vanno soddisfatte subito, ed io la possibilità me l’ero creata bene, anche questa volta, e per di più non avevo nessuna intenzione di lasciarmela sfuggire, a qualcosa dovrà pur servire questa confidenza più che decennale con le parole, e i risparmi degli ultimi anni, l’oculatezza con cui le avevo usate, e comunque l’esperienza acquisita, non mi facevano di certo venire sensi di colpa per come le avevo impiegate in questa avventura, ormai non devo più dar conto a nessuno, nemmeno a me stesso.