Lettori fissi

mercoledì 20 settembre 2017

Camaleonti

..., o anche cos'è che mi fa pensare che sto per realizzare quello che ho da sempre desiderato? Me lo stavo chiedendo da diverse settimane, perché sentivo che qualcosa stava arrivando, avvertivo come un presentimento che un sogno a lungo anelato si stava per realizzare, anche se ancora non avevo chiaro in mente come, né esattamente quando, ma c’era nell'aria, quella che respiravo, e quella che mi circondava ovunque andassi, c’era qualcosa che mi faceva pensare, anzi no, che mi diceva, preparati, tieniti pronto, e me lo diceva in maniera sempre più insistete, con modi che non potevano essere fraintesi, né passare inosservati, io li avvertivo e capivo che qualcosa di importante, di grande, stava per accadere, sentivo come una sorta di responsabilità verso me stesso, non puoi ancora una volta fingere che non sia successo nulla, non puoi continuare a far finta di niente, queste voci mi perseguitavano, in ogni momento del giorno, mi invitavano ad una più attenta riflessione, mi stavano avvisando, consigliando anche, che non dovevo perdere quella che poteva essere una delle ultime, se non l’ultima, possibilità di dare una svolta alla mia vita, perché in fondo di questo si trattava, anche se non mi era chiaro da dove derivava questa certezza, ma certe cose arrivano senza avviso, e non è detto che ci debba necessariamente essere una spiegazione a tutto, potevo chiudere la faccenda così, senza interrogarmi ulteriormente, e passare ai fatti, ed i fatti erano le tante cose a cui avevo pensato negli ultimi mesi, e i tanti taccuini riempiti con le storie che mi erano passate per la testa, e che avevo sentito la necessità di mettere su carta, perché in quei momenti quello era l’unico modo che ero riuscito a concepire per alleviare i dolori che mi angustiavano, dolori non certo fisici, piuttosto qualcosa che mi impediva di vivere la vita in modo normale, perché niente rientrava nei binari della normalità in quei giorni, e lo dimostra il fatto che oggi, che capisco molte più cose soltanto a leggere quelle pagine, oggi riesco a parlarne con una visione d’insieme che mi permette di avere le idee più chiare e guardare a quel periodo in modo distaccato, come se le cose descritte non mi riguardassero, come se quel mondo non mi appartenesse, quando prendevo appunti, quasi quotidianamente, era del tutto diverso, avevo quasi paura di accettare che le cose di cui parlavo facessero parte di me e della mia vita, oggi no, ammetto che è stata una fortuna essermi soffermato, sforzandomi anche, dieci minuti al giorno, o anche più, per raccontare aneddoti, abbozzare pensieri veloci, fare il resoconto confuso delle attività svolte nel corso delle giornate, anche le più semplici, e quelle apparentemente insignificanti, oggi solo capisco e apprezzo l’importanza, a quell'epoca si trattava di esercizi che credevo sterili, e che però svolgevo perché mi facevano sentire vivo, e non era poca cosa, tutt'altro, mi hanno aiutato a continuare a sperare, che un giorno le cose potevano mutare, e forse, anzi no, di certo, quel giorno è finalmente giunto, forse anche in maniera del tutto inatteso, in modo assolutamente inaspettato, perché stavo per buttare la spugna, non è facile persistere per molto tempo in una situazione in cui non si riesce ad intravedere la luce in fondo al tunnel, ed è infine arrivato anche questo momento, che non lascerò passare invano, devo approfittarne, sono pronto, da oggi in poi la mia vita sarà un’altra cosa, anzi, sarà un’altra, mi dà questa certezza la storia, quella trascorsa, quella passata, che ritorna sempre più insistentemente come ad avvertirmi che di tempo ne è rimasto poco, sempre di meno, datti da fare, ogni cosa contribuisce a rammentarmelo, c’è un fiorire di idee, di visioni, immagini, confronti, paragoni che si presentano con regolarità impressionante a chiedermi un conto che non riesco più a tenere, e questa difficoltà è ciò che più mi spinge ad agire, non so tenerla nascosta, come fosse una cosa da niente, no, riguarda me, soprattutto me, e non posso trascurarla, altrimenti viene meno il senso della vita, e con essa anche il senso della scrittura, motivo principale per cui sono impegnato in questa impresa, che sempre più mi rende difficile la vita, fin quando non riuscirò a soddisfarlo, questo tarlo che mi divora, sono sicuro, e non solo del tarlo, chissà quante cose ha pensato, se solo fosse in grado di pensare, non so se l’ho dotato di questa facoltà, non ci pensavo, era solo la voglia di provare, volevo imparare a dipingere, un altro modo di comunicare, di esprimermi, ho prodotto poche tavole, ma ancora oggi quelle due sono là, alle pareti, e mi osservano, i soggetti quasi simili, due bestie immonde che cambiano di continuo colore, per quello che sono costrette a vedere, non tanto per le paure che provano, sono ferme, fisse nelle tavole, una, in sala, più piccola, arrivata per prima, un’altra in camera da letto, che pensava di conservare una posizione privilegiata, di poter soddisfare curiosità, assistere a scene piccanti, ti sei ricreduto ben presto, immagino, ben misero spettacolo quello che hai potuto vedere, forse se l’è passata meglio il tuo amico, nell'altra stanza, almeno qualche scena un po’ più spinta l’ha quanto meno immaginata, ogni volta che avvertiva l’accendersi del computer, per il resto neanche la fantasia gli ha potuto dare una mano, sei capitato davvero male, in un’altra casa avresti avuto senz'altro sorte migliore, ma tant'è, ormai non puoi farci niente, e lo sai, te ne resti là, a poltrire, aspettando tempi migliori, che sarà difficile che vengano, voglio avvisarti, non penso di riuscire più avanti dove ho fallito in tutti questi anni, mettiti l’anima in pace, non sarà da me che potrai ricevere soddisfazioni, a meno di non accontentarti di scene miserevoli e che non ti aspettavi di vedere, a cui non immaginavi mai di dover o forse poter assistere, ed invece, ecco, sono di queste cose che ti dovrai accontentare, che vorrei parlare con te, dimmele quali sono le tue impressioni, dimmi cosa ne pensi, poi io non sarò più io, dopo averti raccontato tutto, dopo essere riuscito a svelarti la vera essenza di me, risorgerò, sarò un altro, e questo è un passo che dovrò fare, altrimenti non potrò più vivere,

lunedì 18 settembre 2017

Pensavo

Pensavo a tutte le cose che mi erano state rinfacciate negli ultimi tempi, l’incomprensibile indolenza, non aver preso mai una volta l’iniziativa, mai avanzato una proposta, e tutto il resto, e mi chiedevo se era davvero così.
Ma non subito. Sul momento recepivo passivamente quelle frasi, come invettive a cui dovevo solo opporre una qualche difesa e la mia arma più poderosa era il silenzio, abbozzare, senza pronunciare una parola, tutto quello che mi veniva buttato addosso. Era dopo, più tardi, anche dopo giorni, che quelle cose ritornavano, diventavano mie, dopo che le avevo assorbite e pian piano cominciavano a far parte del mio corpo, sotto forma di dolori, di mal di testa che mi tormentavano fin dal mattino, e allora intuivo che quello era il segnale, capivo che era arrivato il momento di rivedere ciò che era stata la mia vita, ma soprattutto quello che non era stata, e non solo negli ultimi giorni.
A ripensarci, a rivedere quei momenti, mi sembra che tutto sia stato solo un sopravvivere, un tirare a campare, senza coscienza di quello che andavo facendo, senza immaginare minimamente cosa poteva essere il tempo che avevo davanti, che però non sapevo quanto era grande, quanto esteso, o se realmente vissuto.
I giorni che avevo davanti, libero per quasi un mese da impegni, sarebbero stati almeno fruttuosi?
Camminare per le strade della città, fare due passi all’aperto, un giro nel parco, arrivare fino al fiume, soffermarmi sul ponte, che vorrei attraversare, per abbracciare una nuova avventura o anche solo una semplice.
Mi sedetti su una panchina all’ombra di un albero, un pioppo, o un platano, oppure un tiglio, dal tronco grosso, largo, irregolare, in parte scorticato, dalla chioma larga, le foglie che cominciavano a disperdersi distribuite qua e là senza ordine sul prato, di sfumature diverse di un verdone che sfociava verso il grigio e poi appassiva nelle varie tonalità di ocra e poi marrone, più chiaro o più intenso, ma forse appartenevano ad un altro albero, una betulla, tirai fuori il libro che avevo cominciato a leggere, dallo zainetto verde, che ormai si era scolorito come i tanti anni in cui l’avevo portato addosso, scorsi le pagine fino a ritrovare il punto in cui ero arrivato il giorno prima, ma non era all’inizio? Non ricordavo niente, e ogni volta ricominciavo daccapo, perché non ero interessato alla storia, mi piaceva di più ritrovare quello stile di scrittura che mi lasciava senza fiato, la descrizione che non lasciava spazio ad altre fantasie che non quelle descritte, così mi sembrava, salvo a ricredermi la volta successiva, quando riaprivo il libro ricominciando dalle prime pagine, ritrovandovi un mondo diverso, a volte completamente diverso, da quello che avevo conosciuto nelle letture precedenti.
E questo, nonostante ogni volta mi immergessi completamente nella storia narrata, fino ad immaginare di essere io stesso a vivere quelle esperienze, al punto di credere di essere il protagonista, il personaggio più importante, fondamentale allo scorrere degli eventi, senza la mia presenza nulla poteva esistere. Erano queste le occasioni in cui rinascevo. Ogni volta ero una persona nuova, dimenticavo quello che ero stato, cancellato definitivamente, per ricominciare un’altra esperienza, un nuovo essere agiva in me, ma non sapevo se ancora ristagnavano i tanti passati a torturarmi la nuova esistenza, qualche particola che si era fissata con l’intento di ricreare il corpo, o meglio lo spirito, di ciò che speravo di essermi lasciato per sempre alle spalle.
Quante volte mi sono chiesto chi ero, perché ero arrivato alla conclusione che di me sapevo abbastanza poco, forse a causa delle continue metamorfosi che si attuavano ogni volta che cominciavo a leggere un nuovo romanzo, quante volte mi sono perso dietro ai tentativi di conoscermi meglio, risultato che pensavo di poter ottenere dalla comprensione di un testo, per quanto difficile potesse essere, quando non addirittura dalla semplice lettura di un libro, lo chiudevo definitivamente, lo riponevo da parte, e quello rappresentava un altro passo verso la conoscenza di me stesso. Illusioni, nient’altro che stupide illusioni.
Io mi ero figurato altre cose, mi aspettavo altro dalla vita, mi ero illuso di poter rinascere, forse persino risorgere, che era sufficiente un semplice sforzo di volontà, uno schiocco delle dita ed il mondo ruotava a mio piacimento.
C’era qualcosa che non andava, e che non avevo preso nella dovuta considerazione. Che c’è una vita sola l’ho capito tardi, e non ho più tempo per rimediare a questa disattenzione, a questa grave distrazione, a questo abbaglio tremendo.
Di affrontare il tutto come se non esistessi solo io al mondo, come se non fossi il centro dell’universo, come se oltre me non ci fosse qualcuno o qualcosa che non ero mai arrivato a concepire, adesso, dopo anni di chiusura, di solitudine, di pensieri vuoti, adesso diventava davvero difficile. Era necessario uno sforzo che non pensavo di essere in grado di esercitare, un impegno che non potevo affrontare, un’energia che non ero capace di tirare fuori, troppo svuotato e rinsecchito dai torbidi pensieri in cui mi ero trascinato per anni.

giovedì 14 settembre 2017

Ti piacerebbe far parte di una storia? (4)

Voleva capire cosa gli riservava il futuro ma nel momento stesso in cui lo pensava si domandava cos’era il futuro. E se poteva dominarlo, esserne padrone, almeno del suo, oppure se doveva scoprirlo come una cosa già scritta e riposta in qualche angolo di mondo, un anfratto nascosto oppure tutto alla luce del sole, era là, davanti ai suoi occhi e non era in grado di percepirlo, di vederlo, ne ignorava addirittura l’esistenza, la possibilità stessa di incontrarlo, così come si incontra per caso una signora, in attesa del tram, o al lavoro, in ospedale, ognuno con una storia diversa, ognuno con un proprio futuro da scoprire o verso cui andare incontro, come fosse un destino già scritto.
Adesso il suo presente erano le persone che gli riversavano addosso i loro problemi. Tutti i giorni a ricevere le lamentele di gente a cui dare una spiegazione o una speranza, malati terminali che si rivolgevano ad un medico fidato per una parola di conforto, o complessati che volevano scaricare su di lui le loro turbe, i turbamenti, avevano bisogno di un assistente sociale, di uno psicologo, di un consulente, un amico cui confidare paure o segreti, un prete cui confessare i peccati, invidie, gelosie, tradimenti, uno stregone, un esorcista, un curandero, qualsiasi cosa tranne quello per cui lui era là.
Immaginò le storie che stavano per raccontare quelle persone disperate. Immaginò che poteva partire da lì per scrivere il libro che aveva in mente ormai da tanto tempo. Storie di tutti i giorni, non di quelle ricche di particolari che descrivono le loro esistenze, segno per segno. Piene di circostanze curiose, ambigue anche, che presuppongono conclusioni a lieto fine, oppure no, disgrazie, lutti, disperazioni, fallimenti, casi tragici, che si trovava ad annotare nei verbali, nei registri che riempivano gli scaffali, nelle cartelle che componevano e costituivano la biografia di un mondo in lenta decomposizione ed allo stesso tempo in inevitabile costruzione, storie destinate ad una qualche conclusione, che non sempre però coincideva con la parola fine.
A volte i personaggi dopo tanto tribolare si perdevano per strada, incrociavano un destino non degno di essere raccontato, andavano incontro ad una fine prematura, una fine senza finale, un finale che non li riguardava, che apparteneva ad altri. Loro si erano fermati prima, un fulmine in pieno giorno, col sole, oppure una tromba d’aria a recidere il filo della vita, un incidente stradale a stroncare l’esistenza, un evento radicale a sconvolgere l’ordine delle cose e tutto finisce.
Il dialogo era già pronto, tutto chiaro.


martedì 12 settembre 2017

Ti piacerebbe far parte di una storia? (3)

Sto facendo le prove. In effetti non gliel'ho ancora chiesto, anche se sospetto che l’abbia già capito. Non le ho chiesto se vuole partecipare veramente a questo progetto, non ero ancora pronto. Mi sentivo come quando arriva addosso un’età senza essere del tutto preparati. Signore, concedimi ancora un po’ di tempo, mi preparerò ben bene!
E intanto, dove vado? Non conosco la strada, rischio di perdermi tra anfratti polverosi di cantine sotterranee, tunnel poco illuminati, cunicoli che potrebbero essere senza via d’uscita, avrei paura di inoltrarmi in quei budelli asfissianti, un intrigo di soluzioni che potrebbe trascinarmi per ore ed ore ad elencare percorsi sconosciuti, in esplorazioni a rischio, esperienza da vivere, mentre cercavo di non farmi notare, sentivo il bisogno di pisciare, pensieri intimi eppure necessari in alcuni momenti.
Provai a trattenerla, a dire il vero senza neanche molta fatica. Non si trattava di qualcosa di irresistibile, il pensiero però di ritrovarmi di nuovo, qualche minuto più tardi, ad avvertire lo stesso stimolo, senza poterlo soddisfare, mi innervosì parecchio, mi venne da pensare che con un colpo di mouse avrei potuto risolvere tutto, ritornare indietro, da dove ero partito, ed organizzare ad esempio un incontro con qualcuno più interessante. Cosa me lo impediva?
Più interessante, certo. Da che punto di vista, e per fare cosa, a che scopo? Mi assalivano domande e dubbi da ogni angolo dell’universo che intendevo creare. Un piacere immenso, infinito, incommensurabile, indicibile, inenarrabile e qui mi fermavo, non riuscivo più a continuare, cosa c’è da narrare oltre l’inenarrabile? Potrei chiederle un consiglio, un suggerimento, potrei rivolgermi direttamente a lei, per capire tutto quello che c’è da sapere, ma non ci avrei provato gusto, non lo stesso che poteva provocare la scoperta, mi verrebbe da dire la scoprizione, in analogia con una più generica vestizione.
Non mi sento di abbandonare Borsalino alle sue preoccupazioni, mi sembra di sprecare un’occasione. Ma starmene fermo, come fossi un clandestino che scappa e si nasconde, mi stava già venendo un disagio che cominciavo a mal sopportare.
In altre occasioni ho potuto pescare nel burrascoso passato qualche elemento per uscire fuori da una situazione difficile. Adesso, anche le porte del ricordo sembravano sbarrate e poi, gli intricati fili di qualche polvere, rumori non proprio piacevoli, perché incomprensibili, che venivano da qualche angolo al buio. Insomma, non stavo bene, non mi sentivo per nulla tranquillo.
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domenica 10 settembre 2017

Ti piacerebbe far parte di una storia? (2)

Aveva cominciato a piovere. Una pioggia minuta, quasi timida, ma che presto divenne insistente.
Istintivamente bestemmiò, una reazione incomprensibile, inspiegabile. Salì in fretta le scale e si avviò verso il primo piano di una casa di cui conosceva solo la facciata esterna, la studiava ogni volta che andava a trovare la madre, di domenica, appuntamento fisso che non trascurò nemmeno quando finalmente si decise di sottoporsi ad un intervento al fegato o da qualche parte là vicino, aveva scelto di farsi ricoverare di lunedì apposta, per non mancare il consueto appuntamento con il ragù del giorno del Signore e le deliziose polpette calde come antipasto che l’avevano accompagnato per tutta l’età giovanile. Ancora adesso non sapeva farne a meno.
La pioggia lo infastidiva sopra ogni cosa. Pur di non rovinare il Borsalino che aveva ricevuto in regalo in occasione del suo quarantesimo compleanno da una nuova fiamma, l’ultima di una ragguardevole serie, si era infilato su per quelle scale senza sapere dove lo avrebbero condotto.
La curiosità mista ad una sensazione o piuttosto timore di fare una magra figura, mi spinsero a seguirlo. Forse avrei avuto anch’io l’occasione di scoprire un mistero che mi aveva tenuto occupato per anni, soprattutto d’estate, allorché la bella stagione mi consentiva di sdraiarmi comodamente sul balcone ed ammirare il paesaggio urbano, insieme agli esseri che orbitavano attorno a quel condominio. Mi si sarebbe svelato un mondo nuovo.
Finsi anche di cercare le chiavi di casa nel fondo dello zainetto nero e simulai persino un po’ di incazzatura, per gli infiniti oggetti che contribuivano ad appesantirlo, decine di floppy di cui ignoravo il contenuto, erano anni che me li portavo dietro, spostandoli ogni volta che cambiavo borsa o zaino, penne di vari colori tante che ormai non scrivevano più e che avevano di certo visto giorni migliori, fogli con appunti di ore, giorni, mesi andati, ormai l’unica testimonianza, un giorno ricostruirò la mia storia, metterò insieme episodi dimenticati o che ritenevo irrimediabilmente andati perduti, per riscoprire il passato, il mio, non ricordo più, apro istintivamente lo zaino per cercare altri elementi, anche uno zaino può contribuire al mio progetto, non serve andare molto lontano, mi ha seguito in mille strade, mi ha aiutato in momenti difficili, anche questa volta non mi ha tradito, mi restituisce le chiavi di casa quando l’uomo è già di sopra, non ha sospettato nulla, posso continuare ad agire indisturbato, osservando le sue mosse, senza correre il rischio di essere smascherato.
Devo fare attenzione ai suoi movimenti, anche i più piccoli, quelli che all’apparenza sembrano insignificanti. La verità ha mille volti e si può nascondere dappertutto. Non devo lasciarmi sfuggire l’occasione. Non si affrontano le scale solo per preservare un cappello, sia pure un Borsalino, sia pure un regalo di quella donna appena conosciuta, che comunque prometteva bene, avevo già fatto tanti progetti, tante idee in testa che tuttavia non riuscivo a prevedere né a seguire. Era anche per questo che avrei fatto di tutto per non lasciarmelo scappare.
Avevo dunque un motivo in più ma non volevo trascurare gli stimoli che mi avevano dato forza fino ad allora, la forza di vivere, anche se può sembrare una parola grossa, però ormai non faccio più distinzioni tra le cose che mi vengono spontanee anche perché penso siano le più importanti, ai più svariati propositi e fini.
Non potevo lasciarlo agire, lasciargli l’iniziativa, dovevo intervenire, pesantemente.
Lo studio dell’atrio attraverso i testi di arredamento, d’arte, di architettura, poteva fornirmi un valido aiuto.

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venerdì 8 settembre 2017

Ti piacerebbe far parte di una storia? (1)

Anche solo un piccolo scherzo, ma con quali conseguenze, a volte disastrose, un rumore per catturare l’attenzione di un ciclista, che si distrae leggermente, si gira nella direzione del rumore, vede la buca solo all’ultimo momento, senza riuscire ad evitarla, rovina sull’asfalto, ecc. Ben presto comincia a prenderci gusto e si rende conto che può determinare la vita della gente, almeno di qualcuno, ma con un po’ di impegno, affinando la tecnica, forse potrebbe condizionare un intero popolo.
Non potevi toglierla quella cazzo di buca, ma cosa fanno gli amministratori di questa città, solo buoni a fottersi un sacco di soldi?
Ti piacerebbe far parte di una storia, le chiesi senza sapere perché. Mi guardò come fossi uno sconosciuto, sorpresa, aveva tante cose da dirmi, da raccontare, poteva cominciare ed andare avanti senza fermarsi, per ore, solo un sorso di vino di tanto in tanto, senza altre distrazioni ed io ascoltavo, attraversavo un periodo della mia vita in cui preferivo ascoltare piuttosto che parlare, poi dopo l’incontro di quella sera, sarebbe cambiato qualcosa, ma a quel tempo sarei rimasto ad ascoltarla, non perché incantato dalla sua voce o da quello che diceva, o non solo, piuttosto era l’indole di un momento che comunque stava durando ormai da molto tempo.
Una preghiera da recitare ogni sera, un rosario da snocciolare ogni volta che ne sentivo la necessità. Tentativi poco soddisfacenti ma che pure mi davano la forza necessaria per continuare.
Un giorno di fine agosto ripresi a sognare. Cominciai a contare i giorni lunghi che mi separavano dal sogno successivo, quanto avrei resistito dopo quella ricarica? Le intuizioni che giungevano a me da più parti erano il segno che mi stavo muovendo bene e non mi restava altro che andare avanti così. La strada si sarebbe aperta, anzi spalancata. Niente di casuale, solo il risultato di una ferma determinazione al limite della cocciutaggine. Non servono sforzi di fantasia. Occorrono solo delle scelte ben fatte, un po’ di immaginazione, quella sì, e poi il resto viene da sé, sono le vicende della vita che ti prendono per mano e ti conducono verso la giusta direzione.
Scelte oculate, tra ciò che mi girava attorno o intorno a cui io giravo, le vite vissute, i luoghi conosciuti, quelli visitati, la gente incontrata, i mille mondi diversi che ho attraversato. Decisioni non certo facili da prendere, mi farò aiutare da qualcuno, un consiglio, chi si rifiuterà di darmelo? Anzi, forse sarà contento di essere parte della storia. 
Lei cambia di umore man mano che la conosco, che si fa strada nei miei pensieri. La dominerò alla fine, ci vorrà del tempo, la seguirò nel percorso.
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giovedì 7 settembre 2017

Come inventarsi una verità

Non so come vivere i miei anni. Ogni giorno è un giorno diverso, ogni volta un’esperienza nuova. Non ho mai avuto gli anni che ho adesso, che ho addosso, non ho esperienza del mio tempo.

Vorrei parlare di un tempo ristretto, quello di cui ancora ho memoria, e quello che non è ancora tanto lontano, che penso di riuscire finalmente a prevedere. 
È tra questi binari lievemente variabili e mobili che sento di vivere, non ce la faccio ad andare oltre.

martedì 5 settembre 2017

Per molto tempo

Per molto tempo, ho avuto una relazione con una ragazza molto più giovane di me che una volta si sarebbe definita epistolare. Oggi si fa uso di sms, di mail, di chat, sì, insomma, di quei mezzi tecnologici che, anche se con un po’ di reticenza, peraltro del tutto ingiustificata, alla fine comunque ho imparato ad usare.
Per lunghi mesi ci siamo scambiati messaggi appaganti, vivendo a distanza una intensa passione d’amore, fatta di sdolcinatezze, di smancerie, di pensieri gioiosi e di tutte le melensaggini tipiche di un sentimento che poteva essere solo immaginato, senza tuttavia essere sperimentato di persona.
È andata avanti così per un bel po’. Quando mi è venuta l’idea di proporle che la cosa poteva essere trasferita su un piano di realtà, con un incontro in un luogo esistente non solo in una dimensione immaginaria ma ad esempio in una città reale, la mia, la sua, un’altra, ecco che sono iniziati i problemi.
Ha obiettato piuttosto convinta che il nostro amore aveva senso e poteva funzionare solo così come era nato e come stava continuando ad esistere. Che incontrarsi, vedersi, sfiorarsi, baciarsi, fare l’amore, realizzare cioè tutto quello che avevamo fatto nel mondo virtuale, come fosse una cosa del tutto naturale, ecco, tutto ciò avrebbe spezzato quella magia, quella sorta di incantesimo che si era venuto a creare fra noi due, avrebbe reso reale, fatalmente compromettendolo, l’amore che eravamo riusciti a creare.
Io a questa cosa qui non è che ci credevo tanto, non ero per nulla convinto di questa giustificazione, non la capivo, e ripercorrendo mentalmente la storia vissuta mi sembrava di intuire che tutto quello che c’era stato altro non era se non la rappresentazione di una tragicommedia in cui ero rimasto coinvolto senza minimamente avvedermene. Ero diventato, eravamo diventati entrambi, dei personaggi di una fantasia in cui non era chiara la vera identità di chi parlava, di chi usava la parola io. Non era definito il reale statuto di chi pronunciava di volta in volta quel pronome, quando esprimeva un affetto, quando comunicava quell’amore, che col tempo si era trasformato in una specie di malia che rendeva confuso il momento che capitava di vivere.
L’io della realtà si confondeva con quello della finzione. L’ho capito solo a cose fatte, ed è stato traumatico sbattere contro il muro costituito dalla presa di coscienza che ne è seguita.

Ancora oggi faccio fatica a riprendermi, a capire chi è o chi rappresenta quell’io che si manifesta spontaneamente quando scrivo, quando mi capita di rivolgermi a qualcuno. Mi sembra di aver perso il senso del mondo. Non so.