Lettori fissi

lunedì 18 settembre 2017

Pensavo

Pensavo a tutte le cose che mi erano state rinfacciate negli ultimi tempi, l’incomprensibile indolenza, non aver preso mai una volta l’iniziativa, mai avanzato una proposta, e tutto il resto, e mi chiedevo se era davvero così.
Ma non subito. Sul momento recepivo passivamente quelle frasi, come invettive a cui dovevo solo opporre una qualche difesa e la mia arma più poderosa era il silenzio, abbozzare, senza pronunciare una parola, tutto quello che mi veniva buttato addosso. Era dopo, più tardi, anche dopo giorni, che quelle cose ritornavano, diventavano mie, dopo che le avevo assorbite e pian piano cominciavano a far parte del mio corpo, sotto forma di dolori, di mal di testa che mi tormentavano fin dal mattino, e allora intuivo che quello era il segnale, capivo che era arrivato il momento di rivedere ciò che era stata la mia vita, ma soprattutto quello che non era stata, e non solo negli ultimi giorni.
A ripensarci, a rivedere quei momenti, mi sembra che tutto sia stato solo un sopravvivere, un tirare a campare, senza coscienza di quello che andavo facendo, senza immaginare minimamente cosa poteva essere il tempo che avevo davanti, che però non sapevo quanto era grande, quanto esteso, o se realmente vissuto.
I giorni che avevo davanti, libero per quasi un mese da impegni, sarebbero stati almeno fruttuosi?
Camminare per le strade della città, fare due passi all’aperto, un giro nel parco, arrivare fino al fiume, soffermarmi sul ponte, che vorrei attraversare, per abbracciare una nuova avventura o anche solo una semplice.
Mi sedetti su una panchina all’ombra di un albero, un pioppo, o un platano, oppure un tiglio, dal tronco grosso, largo, irregolare, in parte scorticato, dalla chioma larga, le foglie che cominciavano a disperdersi distribuite qua e là senza ordine sul prato, di sfumature diverse di un verdone che sfociava verso il grigio e poi appassiva nelle varie tonalità di ocra e poi marrone, più chiaro o più intenso, ma forse appartenevano ad un altro albero, una betulla, tirai fuori il libro che avevo cominciato a leggere, dallo zainetto verde, che ormai si era scolorito come i tanti anni in cui l’avevo portato addosso, scorsi le pagine fino a ritrovare il punto in cui ero arrivato il giorno prima, ma non era all’inizio? Non ricordavo niente, e ogni volta ricominciavo daccapo, perché non ero interessato alla storia, mi piaceva di più ritrovare quello stile di scrittura che mi lasciava senza fiato, la descrizione che non lasciava spazio ad altre fantasie che non quelle descritte, così mi sembrava, salvo a ricredermi la volta successiva, quando riaprivo il libro ricominciando dalle prime pagine, ritrovandovi un mondo diverso, a volte completamente diverso, da quello che avevo conosciuto nelle letture precedenti.
E questo, nonostante ogni volta mi immergessi completamente nella storia narrata, fino ad immaginare di essere io stesso a vivere quelle esperienze, al punto di credere di essere il protagonista, il personaggio più importante, fondamentale allo scorrere degli eventi, senza la mia presenza nulla poteva esistere. Erano queste le occasioni in cui rinascevo. Ogni volta ero una persona nuova, dimenticavo quello che ero stato, cancellato definitivamente, per ricominciare un’altra esperienza, un nuovo essere agiva in me, ma non sapevo se ancora ristagnavano i tanti passati a torturarmi la nuova esistenza, qualche particola che si era fissata con l’intento di ricreare il corpo, o meglio lo spirito, di ciò che speravo di essermi lasciato per sempre alle spalle.
Quante volte mi sono chiesto chi ero, perché ero arrivato alla conclusione che di me sapevo abbastanza poco, forse a causa delle continue metamorfosi che si attuavano ogni volta che cominciavo a leggere un nuovo romanzo, quante volte mi sono perso dietro ai tentativi di conoscermi meglio, risultato che pensavo di poter ottenere dalla comprensione di un testo, per quanto difficile potesse essere, quando non addirittura dalla semplice lettura di un libro, lo chiudevo definitivamente, lo riponevo da parte, e quello rappresentava un altro passo verso la conoscenza di me stesso. Illusioni, nient’altro che stupide illusioni.
Io mi ero figurato altre cose, mi aspettavo altro dalla vita, mi ero illuso di poter rinascere, forse persino risorgere, che era sufficiente un semplice sforzo di volontà, uno schiocco delle dita ed il mondo ruotava a mio piacimento.
C’era qualcosa che non andava, e che non avevo preso nella dovuta considerazione. Che c’è una vita sola l’ho capito tardi, e non ho più tempo per rimediare a questa disattenzione, a questa grave distrazione, a questo abbaglio tremendo.
Di affrontare il tutto come se non esistessi solo io al mondo, come se non fossi il centro dell’universo, come se oltre me non ci fosse qualcuno o qualcosa che non ero mai arrivato a concepire, adesso, dopo anni di chiusura, di solitudine, di pensieri vuoti, adesso diventava davvero difficile. Era necessario uno sforzo che non pensavo di essere in grado di esercitare, un impegno che non potevo affrontare, un’energia che non ero capace di tirare fuori, troppo svuotato e rinsecchito dai torbidi pensieri in cui mi ero trascinato per anni.

Nessun commento: