Lettori fissi

sabato 28 ottobre 2017

Non si potrebbe fermare il tempo?

Ma non si potrebbe fermare il tempo? Io non voglio che fra poche ore sia di nuovo lunedì, e mi tocca ritornare a lavorare. Sono stanco.
Vorrei utilizzare il tempo per ripescare i ricordi, partendo da quelli più lontani, ma senza un ordine e forse anche senza un criterio. Li accetto anche così come vengono, perché i ricordi non è che li puoi programmare, arrivano senza preavviso, quando meno te lo aspetti, rispondono a leggi e concatenazioni che non so e non voglio comprendere. 
Me li ritrovo davanti agli occhi, senza un motivo preciso, quanto meno a me ignoto. Non sono preparato a tutto e a volte mi sorprendo a ritrovare storie del passato come se stessi sognando, e a ben vedere, quelle storie, hanno la stessa consistenza dei sogni, sono volatili, anche se a volte si fissano da qualche parte per un po’ e non ti lasciano in pace. Per lo più, comunque, sono innocui, si presentano sfoggiando una presunzione che però si scioglie quasi sempre rapidamente, e senza causare danni permanenti.
Il ricordo di una bicicletta sfumata per poco, quella che poteva essere la mia prima bicicletta. So che c’è da qualche parte e che di tanto in tanto riaffiora, si affaccia ad una finestra  che a volte apro, e sembra volermi invitare a fissarlo in qualche modo. Se lo fai una buona volta non ti tedierò più, te lo prometto, e nonostante questo ancora non mi sono deciso ad edulcorarlo, questo ricordo, a renderlo appetibile. Resta in attesa, come tanti altri che di tanto in tanto tintinnano, come campanelli d’allarme, a ricordarmi che non è che abbia poi ancora tanto tempo, che, quei ricorsi, se non voglio correre il rischio di tralasciarli in maniera definitiva, di trascurarli per sempre, dovrei darmi da fare. 
Quella data, ad esempio, primo febbraio, chissà per quanto tempo riuscirò a ricordarla ancora. Intanto la fisso, così non mi sfuggirà più. Poi, quando sarà il momento, quando il peso del ricordo diverrà insostenibile, allora provvederò a riempirla del relativo contenuto. Anche se, l’arrivo di quel momento, nella mia speranza ormai vana, vorrei rinviarlo sempre più avanti nel tempo.
Ma intanto sta diventando, giorno dopo giorno, un inizio. O anche una fine, da cui non riuscirò a smuovermi facilmente.
Ma perché questi toni, queste espressioni oscure? Perché sempre questo rimandare l’appuntamento con la chiarezza, con la verità? Forse non sono abbastanza valido come confessore di me stesso? Per paura di non essere capace di assolvermi per una colpa o un peccato che mi illudo non dipenda da me?
Sempre a giocare più ruoli, chiuso agli altri, alla possibilità di introdurre interlocutori che potrebbero aiutarmi a raccontare, ad esempio, attraverso un dialogo, uno scambio di battute, o di idee, una conversazione anche accesa, in un contesto favorevole tutto da inventare, o forse no, solo da realizzare, da progettare, partendo da basi preesistenti. 
La storia c’è già. Serve un piccolo sforzo e tutto diventa non solo più credibile, ma anche più accattivante, non una storia che gira solo e soltanto attorno a me.

domenica 15 ottobre 2017

Causa o effetto?

La causa e l’effetto. Il prima e il dopo. Una spinta, un passo, una meta, un fine.
Non so bene quali di questi estremi opposti rivestano il ruolo più importante, più determinante, più decisivo per le mie azioni.
Provo a spiegarmi con esempi tratti dalla vita di tutti i giorni.
Quando mangio, a pranzo, o più spesso a cena, mi piace accompagnare un formaggio stagionato o anche delle fette di salamino piccante con uno o più bicchieri di buon vino. Ma dopo un po’ non sono più in grado di capire, non certo perché ubriaco, se continuo a mangiare per bere il vino, oppure se bevo per poter continuare a mangiare. È che mi piace e vado avanti così, senza curarmi di trovare una risposta. Così è per il caffè alla fine del pasto. Non so a quali di questi alimenti attribuire la giusta rilevanza e in quale ordine.
Questi dubbi, indecisioni o ignoranze, me li porto dietro anche nella scrittura, che rappresenta uno dei poli della dialettica. L’altro è la vita.
Vivere per raccontarla, come ha detto qualcuno, o scrivere, prima, fissarla su carta, come un copione, e poi viverla, rappresentarla sul palcoscenico del mondo?